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Steve Albini:Grandi produttori del nostro tempo

Steve Albini

Steve Albini, a recording engineer, poses for a portrait at his workplace, Electrical Audio, in the Avondale neighborhood, Wednesday morning, Aug. 25, 2021. | Pat Nabong/Sun-Times

Oddio, è dura parlare di Steve Albini al passato. È una figura che definire leggendaria è poco, un vero e proprio pilastro nel mondo della musica indipendente, del rock alternativo e del punk. Non era solo un musicista, ma anche un fonico di registrazione pazzesco – e attenzione, ci teneva un sacco a farsi chiamare “fonico”, non “produttore”. La notizia della sua scomparsa, purtroppo arrivata a maggio 2024, ha lasciato un vuoto enorme.

Albini era famoso per la sua posizione granitica su come definire il suo ruolo. Rifiutava l’etichetta di “produttore” perché per lui implicava un’ingerenza creativa nella musica della band, cosa che lui aborriva. La sua filosofia era cristallina:

Il suo obiettivo principale era documentare la performance. Voleva catturare il suono della band in modo onesto, accurato e naturale, esattamente come suonavano tutti insieme nella stanza. Era come scattare una fotografia sonora: il suo sogno era che il disco suonasse esattamente come la band dal vivo, senza trucchi.

Per questo, il suo intervento era minimo. Evitava deliberatamente tutte quelle “tecniche di produzione” comuni che alterano il suono originale. Questo significava che usava pochissima o nessuna compressione, specialmente sulla batteria o sul mix finale. L’equalizzazione la usava solo per correggere difetti, non per scolpire pesantemente il suono. Non aggiungeva riverberi artificiali, si affidava completamente al suono naturale della stanza. E scordati l’Auto-Tune o l’editing temporale invasivo: per lui, le imperfezioni facevano parte della performance.

Credeva fermamente che il suono dovesse essere ottenuto prima di tutto con la scelta e il posizionamento meticoloso dei microfoni e sfruttando le caratteristiche acustiche della sala di registrazione. Era un maestro nell’uso dei micro microfoni d’ambiente, capaci di creare suoni di batteria giganteschi e super realistici.

Albini era anche noto per la sua etica del lavoro inflessibile e la sua critica spietata all’industria musicale. La cosa più famosa? Rifiutava categoricamente di prendere le percentuali sulle vendite (le royalties) come fanno i produttori tradizionali. Per lui era immorale e sfruttatorio nei confronti degli artisti. Invece, chiedeva una tariffa giornaliera fissa per il suo lavoro di fonico, a prescindere da quanto successo avrebbe avuto il disco. Questo lo rese la scelta ideale per tantissime band indipendenti con budget limitati.

Era un grande fan della registrazione su nastro analogico, apprezzandone le qualità sonore, il processo di lavoro e la disciplina che imponeva. Però, era tranquillamente capace di lavorare anche in digitale se la band lo richiedeva.

Le registrazioni di Albini hanno un’impronta ben precisa, spesso descritta come grezza: diretta, senza fronzoli, potentissima. Erano incredibilmente dinamiche, mantenevano tutta la gamma dinamica della performance, dai momenti più delicati a quelli più forti, senza quella compressione esagerata tipica delle produzioni mainstream. Il suono poteva essere abrasivo e tagliente, specialmente per le chitarre e la batteria, quasi spigoloso. Ed era sempre realistico, ti dava proprio la sensazione di una band che suonava “live” in una stanza. Le batterie, poi, erano il suo marchio di fabbrica: suonavano potentissime, con un grande senso dello spazio, proprio grazie al suo uso geniale dei microfoni d’ambiente.

Ha lavorato su migliaia di dischi, e molti sono delle vere pietre miliari della musica alternativa e indipendente. Pensa a Pixies – Surfer Rosa (1988), un album rivoluzionario che ha definito un’estetica sonora alternativa, con dinamiche estreme e un suono di batteria indimenticabile. O ai Nirvana – In Utero (1993), dove la band lo scelse proprio per avere un suono più crudo e abrasivo rispetto a Nevermind. Quell’album è l’esempio perfetto del suo approccio, anche se poi alcune tracce furono remixate su richiesta della casa discografica. Ha registrato anche PJ Harvey – Rid of Me (1993), un disco incredibilmente potente, scarno e intenso, che cattura perfettamente la forza di Polly Jean. E ancora, Slint – Spiderland (1991), un album fondamentale del post-rock, anche se il suo contributo esatto è a volte dibattuto, viene spesso accreditato per il suono. E poi The Breeders – Pod (1990), Jawbreaker – 24 Hour Revenge Therapy (1994) e tantissimi altri artisti come Mogwai, Neurosis, Low, Godspeed You! Black Emperor, Joanna Newsom, e migliaia di band underground.

Albini non era solo un tecnico del suono, era anche un musicista influente. La sua prima band importante fu i Big Black negli anni ’80, pionieri del noise rock e del post-hardcore. Erano famosi per un suono di chitarra tagliente come un rasoio, l’uso iconico di una drum machine Roland TR-606 (che chiamavano “Roland”) al posto di un batterista vero, e testi provocatori. Poi ci furono i Rapeman alla fine degli anni ’80, una band controversa e di breve durata, sempre nel filone noise rock. Il suo progetto musicale più longevo è stato Shellac, nato nel 1992 e attivo fino alla sua scomparsa. Un trio minimalista ma potente, con Bob Weston al basso e Todd Trainer alla batteria, noti per un rock spigoloso, ritmico, con arrangiamenti scarni, suoni di chitarra metallici (spesso usava chitarre Travis Bean in alluminio) e testi particolari. Hanno mantenuto un’etica rigorosamente indipendente per tutta la loro carriera.

Nel 1997, Albini ha aperto il suo studio di registrazione personale a Chicago, Electrical Audio, progettato seguendo le sue precise specifiche, e lo studio è rinomato per le sue sale di ripresa acustica eccellenti, l’enorme collezione di microfoni e attrezzature (soprattutto macchine a nastro analogiche), e per essere un ambiente confortevole e professionale dove le band possono lavorare in modo efficiente, secondo la sua filosofia.

Steve Albini è stato una figura unica, intransigente e di un’importanza incredibile, ha definito un’estetica sonora alternativa che ha influenzato intere generazioni di musicisti e tecnici del suono dimostrando che si può lavorare nell’industria musicale mantenendo una forte integrità etica.

Ha dato una voce a un’infinità di band che altrimenti non avrebbero mai potuto permettersi registrazioni di alta qualità, ed era anche famoso per la sua intelligenza acuta, le sue opinioni forti (a volte controverse) e la sua passione per altre cose come la fotografia analogica, la cucina e il poker (era un giocatore di livello mondiale!).

La sua scomparsa nel maggio 2024 ha provocato un’ondata di cordoglio e tributi da ogni angolo del mondo della musica, a dimostrazione del profondo rispetto e dell’impatto che ha avuto. Rimane un’icona della musica indipendente e un esempio di dedizione al proprio mestiere e ai propri principi.

Se hai mai ascoltato un disco dei Nirvana, dei Pixies, o di una delle mille band underground che hanno passato per le sue mani, hai sentito il suo tocco inconfondibile, e questo non lo dimenticheremo mai.

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