Sul suono della chitarra si parla sempre di legni, pickup, amplificatori, pedali… e a ragion veduta!
Ma c’è un accessorio minuscolo che spesso viene ignorato, e invece fa una differenza enorme: il plettro. Non è solo un accessorio, è una vera estensione della tua mano, e come lo scegli e come lo usi cambia radicalmente quello che esce dall’amplificatore.
Prendiamo lo spessore: un plettro sottile, di quelli da 0.50mm o giù di lì, è super flessibile. È l’ideale per le ritmiche strumming, quelle belle aperte, dove vuoi sentire tutte le corde squillare insieme senza troppo attacco. Ti dà un suono più morbido, quasi “arioso”, e rende lo strumming più scorrevole. Ma prova a farci un assolo veloce o una ritmica stoppata e potente… è un disastro! Non ha la rigidità per darti precisione, il suono si impasta e non hai controllo.
Passi a uno medio, diciamo 0.88mm, e già cambia tutto. È un buon compromesso. Funziona abbastanza bene per le ritmiche, ma ti dà anche un po’ più di controllo per le singole note. Inizia a tirare fuori un po’ più di attacco e di corpo dal suono.
Poi arrivi ai plettri grossi, da 1.0mm in su, fino a quelli che sembrano mattoncini. Qui il suono è diretto, preciso, con un attacco quasi percussivo. Sono perfetti per gli assoli veloci, per il metal, per generi dove ogni nota deve essere scolpita e potente. Ti danno un controllo incredibile, senti quasi di essere “attaccato” alla corda. Il rovescio della medaglia? Suonarci le ritmiche aperte può risultare un po’ troppo duro, troppo “clacky”, e se non hai una mano allenata rischi di strimpellare e impastare il suono invece di farlo squillare.
E poi c’è il materiale: la maggior parte dei plettri sono in celluloide o delrin, che sono plastiche comuni, e ognuna ha le sue sfumature. Ma ci sono anche plettri in osso, in legno, in metallo, o addirittura in materiali esotici tipo la tartaruga (ma quelli sono illegali e si usano solo i replicanti in galalite, fortunatamente!).
Un plettro in metallo, per esempio, ti darà un attacco super brillante, quasi tagliente, con un suono che “gratta” le corde in un modo unico. Ottimo per certe sonorità aggressive. Uno in legno avrà un suono più morbido, più caldo, magari un po’ meno attacco ma con più risonanza naturale. L’osso o i materiali compositi di alta qualità spesso tirano fuori più armonici e un suono più ricco e complesso. Non è solo una questione di suono, ma anche di grip e di sensazione sotto le dita. Un plettro che scivola non ti darà mai la confidenza necessaria.
Non sottovalutiamo la forma e la punta: un plettro standard a goccia è quello più comune, versatile, ma ci sono plettri triangolari (tipo i Jazz III, che sono piccoli e appuntiti), che ti danno un controllo esagerato per la velocità e la precisione sulle singole note, perfetti per il shred. Altri hanno la punta più arrotondata, per un attacco più morbido, meno incisivo. La dimensione stessa del plettro influisce su come lo impugni e, di conseguenza, sulla dinamica che riesci a imprimere.
Insomma, il plettro non è un dettaglio, è una componente fondamentale del tuo tocco, quasi come le tue dita è il primo punto di contatto tra te e lo strumento! Un chitarrista bravo sa che cambiare plettro, o anche solo l’angolazione con cui lo tiene, può tirare fuori timbriche completamente diverse dalla stessa chitarra e dallo stesso amplificatore.
Io stesso ho un cassetto pieno di plettri diversi, e non è per collezionismo. Ogni volta che inizio un pezzo nuovo o cerco un suono particolare, faccio delle prove…a volte basta un plettro più grosso per dare più “peso” a una ritmica, o uno più appuntito per far “cantare” meglio un assolo.
Quindi, la prossima volta che suoni, non pensare al plettro solo come a un pezzo di plastica per far vibrare le corde. Sperimenta. Ascolta. Senti come cambia la tua mano, la tua tecnica, e soprattutto il tuo suono. È un viaggio interessante che vale la pena fare!